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Piangere in terapia


Capita spesso che il pianto irrompa in terapia: questo può accadere in una prima fase o dopo diverse sedute.

Spesso il pianto inonda una prima seduta. In questi casi bisogna pensare già allo stato d'animo con cui ci si presenta dallo psicologo: pieni di paure, di ansie, di aspettative, di speranze nel voler risolvere cose per cui fuori non si trova il giusto sostegno. Il pianto quindi è una valvola di sfogo, che evidenzia quella sofferenza fin a quel momento più o meno taciuta, per cui ci si vuole affidare a quel professionista con cui si percepisce empatia, ascolto e accoglienza senza giudizio.

In altri casi invece il pianto arriva dopo un pò di tempo: "Dottoressa, io non piango mai!" mi viene detto. Ognuno ha il suo modo di esprimere le proprie emozioni: la terapia spesso modifica l'espressione dell' emozioni, rendendola più funzionale al proprio benessere. Dopo un pò di tempo capita poi che il paziente dica: "Finalmente ho pianto, dopo tanto tempo...".

Osservo spesso una modifica del modo di piangere e/o di ridere in terapia: potrebbero sembrare emozioni opposte, in realtà solo pensare al proverbio "ridere per non piangere" fa riflettere sulla stretta connessione tra queste due modalità di espressione emotiva.

Qualunque espressione di un'emozione (tristezza, rabbia, gioia, paura), dopo un buon percorso terapeutico e un buon lavoro con se stessi, dovrebbe essere sentita più coerente rispetto al proprio essere e dovrebbe essere più facilmente gestita.

Durante la terapia è la relazione stessa che permette di imparare nuove modalità di relazionarsi e nuovi modi di esprimersi in modo più consapevole.

Scrive Siegel (2005) “relazioni che implicano processi di sintonizzazione affettiva a livello di emozioni primarie, ci permettono di integrare le nostre esperienze all’interno della nostra mente e con gli altri e di generare stati di risonanza che consentono a ciascun individuo coinvolto di sentirsi sentito dall’altro. Quando si stabiliscono questi stati di risonanza, gli stati interni di due persone si influenzano reciprocamente, dando luogo ad un senso di legame e di unione”. E' il legame che si crea in terapia a favorire il cambiamento, è la fiducia che riponiamo nell'altro a favorire una maggiore fiducia nelle proprie capacità.

La tristezza, così come la gioia, la paura e la rabbia fanno parte della vita quotidiana così come di ogni terapia: un bravo terapeuta lavora con le emozioni, qualunque esse siano, in quanto non ne ha paura ma le riconosce come aspetti legittimi della relazione terapeutica e le considera elementi del sistema emotivo.

Ogni terapeuta dovrebbe possedere un' intelligenza terapeutica, vale a dire “la capacità di integrare la dimensione cognitiva (curiosità) con quella affettiva (empatia) della mente, di connettere il proprio pensare/sentire con quello dell’altro scegliendo tempi e modi dell’azione coerenti e adeguati con la natura sistemica dell’incontro terapeutico"(Ruggiero, 2014).

Dott.ssa Sara Cerasuolo

Psicologa-Psicoterapeuta, TRIESTE

Bibliografia

Siegel D. J., Hartzell M. (2005), “Errori da non ripetere. Come la conoscenza della propria storia aiuta ad essere genitori”, Cortina, Milano.

Ruggiero G. (2014), “Dietro ad ogni scemo c’è un villaggio. Come si costruisce una mente clinica”, Seminario tenuto presso l’Istituto di Medicina e Psicologia Sistemica, 7 Marzo 2014


 
 
 

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